82
Una settimana dopo la morte di Alessandro il notaio saliva a piedi il viale di platani ed eucalipti.
Era una bellissima donna trentenne, capelli corti, completo nero.
Nel pomeriggio, nel salone Albertina e gli altri convocati l’aspettavano seduti in silenzio sui divani, sulle congetture.
Lei salutò e senza preamboli, molto professionale, aprì un estratto del testamento che un anno prima Alessandro Corallo aveva depositato a Roma, presso il suo studio, precisando che avrebbe letto solo la parte che li interessava.
Caterina Russo apprese così che le aveva lasciato la proprietà della casa in cui abitava ed una somma a titolo di premio per il lungo servizio. E rapita, si precipitò fuori, addosso al muro, e confidò al cielo tra le lacrime: “Grazie signorino. Ma non mi dovevi nulla. Io ti ho appena amato.”
La raggiunse commosso Giovanni il camposantiere che aveva ricevuto anche lui l’appartamento in cui risiedeva. Come Lucia Gallo, che ebbe un attimo di contentezza, subito raffreddata dal fatto che doveva giustificare quella donazione al marito. Il pianoterra era stato elargito a Francesco, il vecchio colono, che non era presente perché malato. La palazzina di via Pullano quindi era stata tutta regalata.
Albertina ascoltò disinteressata la sua parte. Il notaio con voce gentile, senza incrinature: “A lei lascia una villetta al mare ed un vitalizio vita natural durante. La volontà di … del defunto è che questo casale, appena lei si compiacerà di consegnarlo, passi al comune col vincolo che diventi la Scuola Elementare. Tranne il castello aragonese ereditato per parte di madre, il villaggio turistico e altri beni, il patrimonio rimanente sarà ceduto, la sottoscritta ne curerà la vendita. Il ricavato andrà ad istituti per l’infanzia abbandonata e per bambini e ragazzi anormali, secondo un elenco e secondo proporzioni già stabilite da … dal deceduto.”
Dopo aver comunicato che sarebbe tornata con i documenti da firmare, si congedò cortese e uscì.
Scendendo il viale scordava il parco, specialmente la fontana con i papiri, le vecchie scuderie. Fuori dal cancello svoltò a destra verso il cimitero, si fermò sulla strada al negozio di fiori.
“Mi dispiace signora, non ce n’è neanche uno, mio padre Giovanni li ha rastrellati tutti per onorare la cappella di Alessandro Corallo.”
La donna assorta rasentò con passi indolenti il camposanto, si rifiutò di entrarci e, anche con quei tacchi, imboccò il sentiero che conduceva al torrente.
Qui si afflosciò su una pietra monumentale e guardava l’alveo di ghiaia e sassi, dove scorreva un rivolo d’acqua.
Piangeva sempre più copiosamente. Le sue lacrime ingrossavano il torrente che tornava in piena e straripava dentro il suo cuore. Ma in quella corrente torbida della vita lui non poteva più prenderle la mano. Lui il suo uomo. Che solo venti giorni prima aveva amato scriteriata nella dolcezza, nella passione. Lui che l’aveva lasciata alluvionata di felicità per tornarsene a morire. Proprio il giorno in cui l’aveva chiamata per dirle che aveva deciso. E lei lo avrebbe avuto sempre accanto la notte, l’avrebbe potuto toccare mentre lo sognava. “Lui non è andato via. Soltanto non sta fuori!” si ripeteva.
Pianse fino al tramonto, e ogni lacrima era verde, e grande come una caramella, poi leggera e ancora ignara di essere incinta, risalì verso il paese, verso la farmacia.