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La ragazza, in jeans e maglietta, arrivò al cancello della villa un po’ in anticipo, e si godette Alessandro, sempre elegante in quei suoi modi da dio, che si rincorreva con un cucciolo bianco, che gli si nascondeva dietro gli alberi, ci giocava, lo chiamava Polpetta, lo arruffava con fanciullezza. E il suo cuore ebbe un attimo di letizia. Avanzò e si presentò.
Alessandro rimandò su per il viale il cucciolo, e la invitò: “Ciao, è qui nella selleria.”
“Ciao!” lei, ricevuta anche dal fascino di quell’edificio rustico con coppi antichi, con gli stipiti di pietra viva dell’entrata.
“Vieni”, amichevole lui, “eccola là!”
La giovane danzava sbrigliata e deliziosa intorno alla carrozza ammirando le balestre, la cassa a barchetta, le panchette in cuoio.
Nel locale entrò lo stesso sole della spiaggia, esitava sul predellino, in attesa di salire.
Lui era appoggiato alla stanga, di quei gridolini di allegro entusiasmo.
“Che bella! Che bella!”
Staffilato piacevolmente dalla freschezza adorabile di quella favolosa creatura, che si fermò di colpo accanto a lui.
“Senti, ti devo dire una cosa!” pudica, soggiogata da un turbamento in viaggio da lontano.
Lui credeva sui fanali: “Dimmi!”
Il sole era a cassetta, sul freno.
“Allora … allora io ho diciott’anni e sette mesi. Fra quaranta giorni vado a Roma per iscrivermi a Giurisprudenza.” Lo fissò ansiosa negli occhi, poi vereconda: “Io sono ancora vergine, e … come primo uomo voglio te!” con voce limpida.
Lui riemerse più soave dalla sorpresa. “Ma quella è una roba che si fa per amore, gioia!”
Lei che si era liberata della parte più difficile, intrigò misteriosa: “Infatti, magari ti amo!”
“Ma io no!” gli sfuggì, quasi addolorato.
Con un affanno fioco: “Mi basta che mi ami in quel momento!”
Il sole prese la porta a quel punto.
Alessandro colse che lei gli parlava con intimità, e spiacente: “Lo farai, appena t’innamorerai di un coetaneo.”
Lei invece di ascoltarlo, indolente, adagiò la nuca su uno dei mantici. Per concludere la sua rivelazione, che sembrava leggere nel vuoto anche con una ostinazione dolcissima. “Quando mi salvasti dalla piena avevo undici anni ed ero tutta bambina, ma il mio corpo che sarebbe sbocciato da lì a poco memorizzò i tuoi bacetti. Disperati perché mi volevano riportare in vita, innocenti. Ma tuoi. Cerca di capirmi, non è questione di gratitudine, tanto tu avresti recuperato chiunque. So abbastanza di te, che hai ventinove anni, eccetera.”
Una breve pausa, nella mente, anche di Alessandro.
“Io per un po’ ti ho considerato il mio eroe, ma crescendo questa tua figura è svanita, si è cancellata dalla lavagna dei ricordi. Ormai eri un mito coperto dal limo. Durante il ginnasio ho cominciato a ripassarti spesso. Le tue carezze di maschietto si erano appostate da qualche parte dentro di me, non gustate appieno, per uscire fuori mentre completavo lo sviluppo.
“Quando sono diventata proprio donna, proprio femmina, ti ho sognato sempre, ma come uomo mio. Ci ho trascorso tante di quelle notti con te che non potrei mai avere un minimo imbarazzo a farci le cose.”
S’incantò a guardarlo suo. Sbadata di tenerezza. E aprì un rimpianto appassionato: “Ci abbracciamo con desiderio folle, ci sciupiamo di baci, cerchiamo di fare l’amore. Ma quando stai per prendermi, immancabilmente accade qualcosa che interrompe la sequenza.
“Sempre così. Quando stai per prendermi mi svegliano. Be’, voglio finirlo quel sogno, almeno una volta, nella realtà!”
Lui, ancora sparpagliato per la confessione, si immusonì, quasi a rintracciarsi con una interpretazione plausibile, per convincerla che era assurdo.
Lucrezia lo lusingò con la vista più verde che aveva e gli posò come sospiri le mani sul petto, lo sfiorò con le labbra sulla bocca: “Ciao!” come d’abitudine. Fece tre passi verso l’uscita, un saltello per tornare: “Quando ti decidi avvisami subito, voglio emozionarmi più tempo possibile, prima.”
Lo contemplò dolcemente segreta, con trepidazione e scorata mentre lui appassito continuava a scuotere la testa, come negandosi. Sulla porta si bloccò un attimo senza voltarsi, perché lui aveva mormorato: “Ciao caramella!”
Alessandro scrollava ancora il capo quando si accorse del batuffolo candido che gli si strofinava sulle gambe.
Il sole non c’era più, neanche fuori, era scappato. Nel domani.
“Polpetta trovami, dai!”