Santina andò ad aprire la porta, quando dietro ci trovò i carabinieri ritornò ocracea.

“Possiamo entrare?”

“Si … Sì.”

Don Emilio aveva gridato: “Chi è?”

Due che gli avrebbero rovinato la cena, che si accomodarono. Lui dopo poche parole era fuori dal sacro, non riusciva a capacitarsi. Quella novità gli fumava nel cervello come l’incenso

Falbo al ragazzo: “Raccontami tutto, sappi che puoi essere incriminato d’omicidio, ti conviene essere sincero.”

“Non è stato lui!” Santina.

L’uomo di chiesa compiangeva Marco, come l’altra sua gamba sotto le ruote di un carro. “Fallo parlare.”

Il ragazzo, quasi ancora tra i rovi del pendio, senza vie d’uscite, fornì una versione semplicissima. Uno lo aveva contattato e gli aveva garantito cinquantamila lire per un lavoretto. Lui aveva ammazzato una biscia al torrente, l’aveva ruzzolata in una busta e s’era inerpicato fino al casino. Vi si era infilato scostando la grata, s’era sbarazzato della serpe sulle scale ed era sgattaiolato fuori. Scoperto dall’appuntato se l’era svignata, sperando di non essere stato riconosciuto. Era andato a riscuotere e aveva portato la somma alla madre, suo salvadanaio.

Marco si alzò e mostrò la banconota.

“Chi ti ha dato l’incarico e i soldi?”

L’interrogato rimase zitto, quasi col fiatone della corsa, con gli occhi fissi al muro, come a reggere una mensola, di spavento.

“Come si chiama?”

“Vincenzo Murra”, bisbigliò sottovoce.

Il prete, incline all’assoluzione, raccomandò subito prudenza, rimarcando con chi avevano a che fare.

“Abbiamo l’assassino!” lasciò trapelare l’appuntato, consegnando la bambolina a Santina diventata rossa, e: “Questa è sua!”

Prima di uscire Falbo si rivolse al parroco e gli conficcò uno spillone nel cuore: “Ma è vero che è tuo figlio?”

Don Emilio benedisse il capo del giovane con una carezza indulgente. “Anche noi siamo di carne …”

Il maresciallo per strada rivelò a Voci: “Domani torchiamo Murra e se non ha un alibi di ferro, gli metto le manette.”

Invece non fece in tempo.