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Le campane suonavano. Un mezzodì ordinario, pieno di resto.
Il prete claudicante si sedette a tavola per il pranzo, con un bell’antipasto di curiosità per Santina, la sua perpetua. “Lo sai che forse hanno scovato l’assassino di Alessandro Corallo?”
“Come?”
“E’un segreto di confessione!”
Don Emilio era a Semelia da tanti anni. Quand’era al seminario, una gamba gli era scivolata sotto un carro carico di patate, trainato da buoi, e gliel’avevano dovuta amputare parzialmente. Con una protesi però riusciva a sopperire e camminava senza bastone, strascicando l’anca.
Nominato giovane parroco, dopo un po’ aveva accettato come assistente Santina, una trentaduenne zitellona che bazzicava sempre in chiesa. Era robustella e scoppiava di salute, di ormoni, mai sfogati. Finché don Emilio una sera non gettò la gamba di legno per terra sullo scendiletto e non le fece una solenne funzione. In paese si sapeva. “Dov’è tuo figlio?” chiese succhiando il brodo di gallina.
“Viene dopo.”
“Quel ragazzo bisogna tenerlo sotto controllo, ha preso una brutta strada”, salmodiò, quasi conducesse al peccato.
Già. Quando rimase incinta, Santina raccontò che era stata ingannata da un forestiero, al buio dietro il campanile. Ma per tutti in quella gestazione era manifesta un’intercessione diretta del sacerdote. Il ragazzo aveva vent’anni e portava il cognome materno. Ma era cresciuto vedendo sempre quella gamba di legno appoggiata al comodino, accanto al letto matrimoniale in cui russava la madre.
“Dimmelo, dai!”
“Stamattina è venuto a confessarsi Voci, l’appuntato.”
“Allora?”
“Non posso dirtelo, che forse ha visto l’omicida di Corallo.”
“Da vicino?”
“No. Lo ha sorpreso mentre usciva da una inferriata del palazzo, ieri sera, non sa chi sia, ma è sicuro che lo abbia riconosciuto Albertina.”
“E chi è?”
“Glielo andrà a chiedere domani, perché oggi è di riposo.”
Santina preoccupata si ritirò in cucina. Con il resto del giorno, le idee e la faccia più gialle del brodo.