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Intanto il tempo fuggiva implacabile, dietro la sorte.
Alessandro si dedicava molto alla vita in società, organizzava cene, partite fino a tardi. E lunghe conversazioni con gli amici sulla collina. In quella sera calabrese unica al mondo, quando affagotta in nuvole il mare che è rimasto nel cielo, quando asciuga le emozioni della giornata con una briga mielosa e aromatica, per la conserva, a cura dei rimpianti.
Oppure semplicemente si godeva le abitudini nel suo casale, al mare. Brillante e bellissimo, elegante e ricco, era il partito ideale delle nubili, le occasioni non gli mancavano, ma preferiva lasciare al destino il futuro. Le vicende si dipanarono ineluttabili, però.
Caterina a pranzo, dopo sguardi teneri e sospiri tagliati, come erbette di cucina, gli presentò il piatto: “Domani faccio la promessa di matrimonio. Ti lascio tutto pronto, ma probabilmente il pomeriggio faccio un salto.”
Quelle parole lo sorpresero vulnerabile, come un segnale di coprifuoco. Il ventiduenne Alessandro provò uno strano ribollimento. Eppure lo sapeva. Ma l’aveva appartata come una teoria. Ricalcò il coperchio su quell’affanno acuto: “Sono lieto per te.” Dopo una pausa, una forchettata amara: “Sei sicura di quello che fai?”
Lei rassegnata: “Spero. E’ uno mite.”
“Lavora?”
“Quando capita.”
“Non gli hanno detto di te?”
“Come no. Ma io ho negato tutto. Mi dispiace mentirgli, ma sono costretta, per ora sembra convinto, credo che aspetti la prima notte.”
“Come farai?”
“Non lo so. Però non potevo ripetere lo stesso errore!”
Alessandro la lasciò a tavola, con un bacio che a malapena era riuscito a domare nella zona della guancia, e uscì a vagabondare nel parco.
C’era qualcosa di incompiuto tra loro. E quando si ritrovarono, per motivi diversi e un sussulto comune, nelle scuderie, si corsero incontro per abbracciarsi, sciuparsi senza scampo, come da ragazzi affacciati sul dirupo. Lui la sollevò e la appoggiò sul muretto della mangiatoia. Alla finestrella c’era la luna, e si muoveva si muoveva, selvaggiamente. Nelle vene avevano, lui un accoramento straziato, lei che era l’ultimo signorino suo. E gli accarezzava sconsolata e insaziabile il volto, aiutandosi con i denti, come se fosse lei, stavolta, a volerglielo rubare.
“Buona fortuna!” Le liberò sulla bocca baci ancora bradi.
Lei piangeva.
Lui si girò dopo un passo, addomesticato da un’altra solitudine: “Nessuna al mondo sa come te in amore.”
Caterina rimase in silenzio, col cuore gonfio sullo strapiombo. Di tutto. Con due visi nelle mani.