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L’alluvione fu considerata un disastro epocale. Piovve tutto il mese di ottobre, senza intermittenza. A Semelia le case si tenevano abbracciate per non franare.
Il torrente Scilo ebbe l’occasione di sfogare il suo arcaico furore, di inondare il suo antico alveo, non solo, ma straripò dappertutto. Sembrava un lago pazzo, devastò nelle vicinanze del suo corso, affogò frutteti, sgretolò fabbricati rurali, consumò insomma una rovina. Sommerse alto l’ansa del baratro, sotto la collina.
Alessandro ventunenne si gustava lo spettacolo della piena, camminando su un crinale. La giornata era limpida sopra quell’acqua torbida, in cui navigava qualche albero ancora vivo, nell’ultima crociera. Pigramente lui stava raggiungendo un gruppo di discoli che da una balza ammiravano chiassosi l’immenso fluire.
Focalizzò appena lo svolazzo di una gonnella e di una chioma che cadeva nella fiumana, con un grido. Si tuffò immediatamente, vestito. Affiorò a pochi metri dal braccino annaspante. Nuotò velocissimo e quando la manina riemerse la ghermì. La ragazzina ebbe un respiro gorgogliante e perse i sensi. Ormai erano nel mezzo dello scorrimento, era impossibile conquistare la riva. Lottò faticosamente con la fanghiglia e i detriti, non seppe neanche lui come ci riuscì, a legarsi sulla schiena la creatura annodando i lembi più lunghi della camicia strappata. Poi si lasciò trasportare dalla corrente.
Quando avvertì che il traffico accelerava si rese conto che era per la strettoia del ponte della statale. Nuotò con uno sforzo enorme per aggrapparsi ad un pilone laterale. Rifiatò un po’ e constatò che l’ondeggiamento quasi leccava la strada, c’era appena un metro di luce, ma il pilastro era viscido. Il vortice lo sbilanciò e lo trascinò via. Sul dorso la bambina non dava segni. Attenuatosi l’affaccendamento del ponte poté affannarsi verso una sponda, certo che a breve sarebbe iniziato il deflusso nel mare. Guadagnò la terra e salì su un ciglione al sicuro. Anche se spossato, si slacciò prontamente il corpetto esanime dalle spalle, lo afferrò dai talloni e lo tenne a testa in giù. Dalla bocca della ragazzina usciva una pozione color cioccolata.
Quindi la distese sopra una grande carta regalo, scolorita e rattrappita dal sole, gliela arrotolò addosso, come a prosciugarle gli indumenti, le ripulì freneticamente le gote dal limo. Ma lei restava inanimata. Cominciò a frizionarle delicatamente il faccino, lo accarezzava: “Ti prego, ti prego, riprenditi!” Le baciava la fronte, le guance, sempre implorando. “Non morire, ti prego, non morire!”
Dopo qualche interminabile secondo lei aprì gli occhi verdi, lui se la strinse felice sul viso, sui bacetti, e sospirò: “Finalmente! Oh oh ma sei bellissima!” “Come ti chiami?”
“Lucrezia”, con vocina impastata.
“Io Alessandro.”
La piccola ebbe un’espressione come una richiesta, che lui attribuì al fatto che doveva sembrarle un mostro in quello stato. Rinfrancato, le disse indicandola allegramente: “Sembri una caramella!”
Lucrezia si guardò avvolta in tutta quella carta e svenne di colpo durante il sorriso.
Alessandro la prese in braccio e si avviò a falcate scalmanate verso il paese, con i piedi che si lamentavano nelle scarpe. L’ansia nel cervello. Ripeteva spolmonato: “Resisti, resisti gioia!”
Entrò, come un dio fluviale in disgrazia, nella farmacia e la depose con premura sul bancone: “E’ scivolata nella piena.”
La dottoressa si sentì mancare nel riconoscere la figlia in quelle condizioni. Le fece inalare subito una boccetta, la piccola si risvegliò. In tempo per vedere quel giovanotto imbrattato di creta, che la salutava: “Ciao caramella!” e se ne andava.
Il giorno dopo lui passò per avere notizie.
Era a letto malata, gli disse la mamma sulla porta. “Vieni, le farà piacere la tua visita, quando delira ripete sempre: “Alessandro, Alessandro.” Non volendo, entrò.
Lucrezia era sudata e stinta, con gli occhi verdi velati dalla posa della sofferenza. Gli sorrise e gli abbandonò la manina sul polso, lasciandosi ninnare dalla febbre, che la adagiò nel sonno, nella memoria.
Non tornò più a trovarla, per non far pesare il suo gesto. Della sua convalescenza lo informava Caterina, e quando lo tranquillizzò che la undicenne che aveva salvato era guarita del tutto, lui non ci pensò più.