Saldo nell’amore, nei desideri della mamma, Alessandro si immerse interamente nella cura dei suoi beni.

Francesco e Agata, i coloni, erano impagabili con lui, non badavano a orari o competenze, lo consigliavano affettuosi, gli spiegavano le cose pratiche dell’azienda. Lo ritenevano di famiglia, gli raccontavano.

“Una mattina discutevamo della potatura, io cambiavo le zappette alla fresa. Forzando un bullone mi scivolò la chiave e mi sfregiai un braccio. Don Ruggero tirò fuori dalla tasca con stizza un pulitissimo fazzoletto, sacramentando me lo avvolse intorno alla ferita e mi gridò: “Francesco vieni!” Sulla carrozza che partì a razzo, intanto lui imprecava e non so se ce l’aveva con me, col lavoro, col medico, con i cavalli che invece andavano come furie. Perché quei cavalli conoscevano tuo padre, lo portavano dappertutto con la velocità degli animali insocievoli, come un pericolo.

“Mentre il medico mi metteva i punti, lui che odiava la vista del sangue mi aspettò fuori, forse lisciando le criniere di Notte e Marea. Risalii a cassetta e ripartimmo verso la farmacia, dove mi comprò le medicine e le garze. Mi accompagnò, mi lasciò: “Stai a riposo, capito?” e i destrieri ripresero la corsa con le sue collere.”

“Don Ruggero aveva un’ira eccessiva, ma anche un’espressione speciale e complice se mi sorprendeva casualmente a trasportare frutta o ortaggi ai ragazzi. E non so, quand’eri piccolo e io ti mandavo sempre uova fresche, come faceva a portarle sulla carrozza senza farle rompere”, ragionò infine Agata, con devozione.

Alessandro rinnovò le piantagioni con le varietà più richieste dai mercati, ristrutturò gli impianti d’irrigazione, fece scavare un nuovo pozzo negli agrumeti. Per anni le sue pesche continuarono ad essere le primizie più precoci d’Italia.

Il casale lo governava Caterina, con la solita dedizione, la solita attesa.