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L’appuntato Voci era un tipo casereccio, col viso bruno, tondo e usurato come un utensile da cucina. Non festeggiava la visita di una intuizione nelle indagini da parecchio, ma era pieno di gioconda quotidianità. Un bonaccione, lo sapeva bene la moglie, una remissiva a parole, per fare sempre a modo suo.
Durante il servizio di vigilanza nel paese prediligeva gironzolare intorno alla villa, qualcosa doveva succedere prima o poi.
Era sera ormai, e prima di smontare si accostò al muro di cinta, salì su un macigno e sbirciò. Avvistò appena una figura sgusciare dall’inferriata che lui aveva trovato intatta e il maresciallo segata, gridò subito l’altolà, sfoderando la pistola. Il giovane sparì nella china verso il torrente, incurante dello sparo in aria, nascondendosi tra i cespugli. Voci ebbe una scossa, forse aveva sorpreso l’assassino, certo non lo poteva identificare, ma s’impresse nitidamente i pochi movimenti, il modo di squagliarsela.
Saltò in macchina e accelerò, suonò con insistenza al casino. Albertina comparve finalmente sul balcone, sembrava all’oscuro, ma viva.
“Mi apra per favore!” Udì un urlo femminile e sudò durante l’apertura concitata del chiavistello. Ci mise un po’ a capire la signora che gli indicava le scale.
Una serpe nera, lucida come un rimorso, sembrava esitare su un gradino.
Voci reperì una ramazza sdentata e affrontò cauto il rettile, che non si mosse prudente. Sollevò l’attrezzo mirando la testa. “E’ già morta!” sibilò. “Ha visto entrare qualcuno? Ha sentito rumori?”
“No, perché?” allarmata.
“Un animale senza vita non cammina.”
“Cosa significa?”
“Forse le hanno voluto incutere paura …”
“Ci sono riusciti!”
“Forse è un messaggio”, concluse l’appuntato mentre portava fuori pendente dal bastone la biscia, per buttarla nella rupe. Come una maldicenza.