A diciott’anni e mezzo Alessandro Corallo rimase solo sulla terra, sulla collina. I primi giorni neanche visse, rimbalzava a vuoto nella mancanza della mamma. Quasi non mangiava, non si lavava, si accasciava sulle panche per alzarsi all’improvviso, per poi buttarcisi di colpo. Ammammolato.

Vagava per casa con l’aria di chi aspetta, era impossibile che la madre non tornasse. Con certi lacrimoni come distillati, di ricordi. Gli sembrava di essere come quel souvenir che aveva sul comodino, una campanella di vetro piena d’acqua, nella quale pareva cadere la neve, se rimenata. Si calmava un po’, poi un pensiero l’agitava e lui si rimuoveva amniotico nell’assenza della mamma.

Smarrito, sfiorava inconsapevole gli oggetti, come per dimenticarli, non finiva neanche i gesti, il sangue gli circolava indocile nei sensi, vaporosi, e il tempo era un delirio intarsiato. Fissava il fuoco del camino per ore, senza vederlo, senza bruciare neanche una pena, una qualsiasi rassegnazione.

Caterina che aveva quasi ventuno anni, lasciò subito da parte il suo dispiacere e cominciò a preoccuparsi seriamente del ragazzo. Non si nutriva, era perduto. Con discrezione gli gravitava sempre intorno, per paura che facesse qualche sciocchezza, lo andava sempre a controllare, infatti non abbandonò mai la villa. Era convinta che lui la percepiva, anche se la ignorava, anche se la maltrattava, specialmente quando caparbia lo invogliava a ingoiare un boccone. Una sera si angustiava di vedetta sul sofà, col focolare rimpinzato per fare tardi. Rastrellava con sguardi ladri ogni spostamento, ogni rumore, e ascoltava apprensiva il crepitare del legno, di Alessandro. Lui le atterrò accanto afflosciato. Poi le si rincantucciò addosso, con la guancia sul petto e una mano dietro il collo. Lei che già lo sosteneva da sotto con un braccio, cominciò ad accarezzargli i capelli. Ripagata della tanta fatica. Avrebbe voluto dirgli: “Sì, c’è Caterina. C’è Caterina tua!” Invece continuò a coccolarlo in silenzio, anche addormentato.

La notte si era arricciata su questa metà del mondo, sul paese, sul casale. Su quei due ragazzi sul divano, lei adagiata con la testa piegata all’indietro, che si teneva stretto al cuore lui assopito. Di fronte a loro il camino tostava ancora aromi di riposo, mentre Alessandro sognava.

Che si aggirava tra le sue aiuole e le trovava trascurate e aride. Che rientrava frettoloso a prendere Caterina e se la tirava appresso annaffiando ogni piantina spremendo le sue grandi tette. Che tutto rifioriva d’incanto.

Alessandro si svegliò subito dopo il lavoro di giardinaggio, sotto il volto sentì le magnifiche tette di Caterina, toste, ancora piene d’acqua. Le diede bacetti sulla fossetta giugulare, uno lieve sulla bocca, e se ne staccò, dirigendosi nella sua camera. Ricomparve sbarbato ed elegante, come al solito, passò vivace davanti a lei gongolante e scese nel parco. Per viottole e sentieri, come a rimettersi in cammino. Sotto l’ombra profana della quercia secolare, incisa da rughe lunghe e profonde come quelle dell’esistenza. Si ristorò alle fontane, sugli steccati.

Quando rientrò il cielo era ancora lindo, ma radunava ad ovest grossi nuvoloni, come annaffiatoi.

Si rifocillò, anche col sonno. Il pomeriggio si allontanò fino allo Scilo. In vegetazione con i cespugli, le macchie, le erbacce. Il pioppo morto, osservatorio del falco, era attorniato da una famigliola di funghi. In cima sugli stecchi protesi nel giorno, alzava un nido vuoto di passero, come una coppa per brindare alla vita, al volare. Il torrente scorreva melodioso nel suo corredo, nell’abitudine.

Ma ad alleviare il suo dolore fu il mare, che forse sapeva, che lo attendeva agitato. Lo scorse avvicinarsi tormentato e infelice, con i cavalloni sembrò andargli incontro, e quando lo lambì sulla riva avrebbe voluto avere le mani.

Alessandro si arenava sulla spiaggia solitaria, ammainato, al tepore del sole, del ricordo della mamma. Per ore. Aspettando le onde, la voglia di vivere. La sua afflizione e le sue pene si lanciavano a nuoto in batterie, altre schiume verso il largo. Si stancavano, riuscivano perdenti, e se ne annegava qualcuna. Se ne tornava con le reti sempre più leggere, con l’avaria un po’ rattoppata.

Quindi cominciò ad interessarsi dell’azienda.

Caterina lo vide piano piano cibarsi regolarmente, tornare alla normalità. In cui lei era sempre la sua governante, però.