Dopo sei mesi Caterina era diventata una perfetta governante. Donna Chiara, con benevolenza e pazienza, del resto aveva un paio d’anni più del figlio, le aveva insegnato le buone maniere e a cucinare i piatti preferiti. Le aveva anche espresso il desiderio che sedesse sempre a tavola con loro. E lei a volte interveniva spigliata nei discorsi sul paese, ma solitamente taceva rispettosa, se non interpellata.

La ragazza aveva rassettato anche un periodo veramente piacevole, vivace della sua vita. Si curava di più, si abbigliava meglio. Si fermava volentieri a pernottare nella sua stanza. Anche il signorino era sempre carino con lei, ma sembrava avere paura di quanto era femmina.

Quasi subito la padrona le aveva proposto: “Se non ti offendi, ti puoi impacchettare la roba che avanza. Lo spreco è un peccato.” E Caterina si insaccava nella sera e nel borgo, quello vecchio con le case fitte fitte come un pettegolezzo, con un cesto di vimini colmo di golosità. Svuotandolo, per prima cosa faceva una razione abbondante di tutto alla vicina, Maria, che non aveva più nessuno e se la passava male.

“Che Dio ti protegga!” ricambiava sempre la misera, grata.

A diciannove anni Caterina conosceva la villa in ogni dove, tranne il vano proibito, tranne i cassetti del comò di donna Chiara.