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Dopo aver ascoltato i carpentieri e i manovali della ditta Corallo, il maresciallo scoprì che nei cantieri non c’erano stati mai avvisi e cominciò a dubitare della sua pista.
Filippo Spataro poteva aver detto la verità. Ma perché poi aveva voluto malmenare, col suo compare, Giovanni il camposantiere? Forse non c’entravano e disdegnavano essere incriminati ingiustamente.
I dipendenti erano titolari di un buon rapporto col defunto, anche se sapevano che l’impresa era vicina alla liquidazione. Ammiravano Alessandro ed erano stipendiati con la massima rigorosità. Nella ditta non c’era modo di costruire un indizio, concluse. Come non c’era modo di cogliere un sospetto tra i contadini dei pescheti, assolutamente estranei al delitto.
Il viaggio nell’azienda era stato inutile. Aveva sterzato dalla statale, attraversato il passaggio a livello e frenato sull’aia della tenuta dove razzolava una gallina, una bella mattinata. A destra il casino con i muri ingialliti dalla incrostazione dell’abbandono, a sinistra i locali per il ricovero delle macchine agricole e la lavorazione della frutta. E la casa colonica dove Agata aveva allevato i figlioli.
Francesco non aveva curiosità su quella pellaccia vecchia di sole, un cuoio che neanche la barba riusciva a forare. Parlando di Alessandro inzuppò di lacrime la Nazionale senza filtro.
Il maresciallo se ne andò, toccandosi il gozzo. Un turista? “Forse”, imprestandosi una consolazione.