Giovanni, in quei giorni dopo il funerale, con i suoi abboccamenti non esumò molto, nella gente predominava la versione dell’avvertimento esagerato. Le notizie accumulate erano inutili, come i fiori avvizziti che cambiava sulle tombe, e il caso rimaneva un ossario anonimo, non identificabile.

Era ora di chiusura e stava ultimando la pulizia nella cappella Corallo, il loculo col cappello. Lui non aveva mai osato guardarci sotto. Spolverando si avvide dei personaggi all’ingresso.

“Ecco il nostro investigatore! Gli regaliamo una lezione!” esclamò Filippo Spataro.

Il camposantiere scostando il vetro si girò verso di loro.

L’altro, Vincenza Murra, armato di un legno, sentenziò entrando: “Questa è la risposta alle tue domande!”

Giovanni con una sorprendente prontezza urlò: “Fermi. Fate ancora un passo e sollevo il cappello di don Ruggero. Sapete cosa c’è sotto.” Vedendo che i due si erano bloccati, aggiunse con fantasia: “I vermi inviperiti vi salteranno addosso, vi entreranno nel culo e mangiando mangiando le budella saliranno su. Altri vi entreranno dal naso e dalla bocca, vi divoreranno la lingua e mangiando mangiando proseguiranno fino al cuore e ci si tufferanno a capofitto, bucherellandolo come uno scolapasta.”

I malintenzionati indietreggiarono e, quando Giovanni fece la mossa di alzare il cappello, diventarono fantasmi. Lui resuscitò un sospiro di sollievo.

Ma non era finita lì, glielo avevano promesso dileguandosi. I due infatti si erano appostati fuori del cimitero, all’angolo. Attesero una mezz’ora. Filippo Spataro ogni tanto sputava schifato per terra. Murra ogni tanto stringeva le chiappe, per avere la conferma che non ci fossero novità.

Giovanni, stanco di ritardare, li adocchiò inchiavardando il cancello. Piroettò nel motocarro.

I due già scalciavano il mezzo e una randellata si era abbattuta sul tettino, non si metteva in moto, un’altra mazzata fracassò il deflettore, il motore tossiva riottoso, un pugno suonò l’orecchio che ingolfato sanguinava, finalmente si accese.

“Lasciaci in pace, sennò vai a trovare i tuoi clienti!”

La vittima vedeva quasi alla rovescia, accelerò trascinandosi per qualche metro Spataro che si era aggrappato all’Ape e cercava di immobilizzarlo, quasi fosse un animale. Invece non lo era, ma si allontanò imbizzarrito e sbandando come ubriaco.