Davanti al cancello della villa ormai si era riunito quasi l’intero paese, sparso a grappoli, attendendo. I più prossimi erano i consiglieri comunali e gli altri amici, di seguito i concittadini, in chiacchiere. In fondo le classi della scuola media con gli insegnanti, delle elementari era presente una quinta con la maestra Lucia Gallo.

“Albertina si è dimostrata veramente forte, ha organizzato il funerale con decisione”, ribadiva la moglie al sindaco.

“Chissà quanto soffre!”

“Dicono che è stata lei a volerlo portare sulla carrozza di don Ruggero Corallo, pace all’anima sua. L’ha fatta trainare dalla sala del cinema e l’ha fatta pulire, i cavalli invece pare li abbia procurati Giovanni il camposantiere.”

“Ad addobbarla ci ha pensato Caterina”, completò lui.

“Comunque è stata proprio Albertina a disporre che noi aspettassimo qui fuori, che si celebrasse la messa sull’altare del casino davanti a lei sola, come se le nostre preghiere non fossero buone”, concluse, constatando che il marito non l’ascoltava.

Il sole sbucò compunto tra le nuvole, quasi non potesse mancare. A mezzogiorno la carrozza iniziò la discesa lungo il viale di platani ed eucalipti. Non aveva nastri neri né corone, o altro che ne rivelasse il servizio, sembrava un carico di vivaci fiori di campo. Davanti, più vicino di tutti alla salma, Polpetta, come se si reputasse il parente più stretto. Dietro in ordine la signora e Caterina Russo, la governante, il parroco claudicante.

Sulla via i convenuti si allinearono disciplinatamente. Qualcuno provò a scacciarlo dalla sua posizione, ma il cane pareva insensibile a qualsiasi minaccia e dopo ogni pedata si ricomponeva mogio al suo posto.

Sfilavano, e c’era un vento che non se n’era mai visto uno così, tenero e intenso d’aria salmastra, incedere sulla strada verso il camposanto.

La processione andava. In coda il calpestio, come un avanzo ancora vivo dei passi. Una marcia lunga tante condoglianze, corta una vita.

I cavalli lipizzani battevano una cadenza mesta, per onoranza. Giovanni li guidava con mansuetudine sopra quella carrozza desueta, riciclata soltanto con fiori freschi, di festa. Con le orecchie mosce e vago della gente Polpetta, subito dopo. Albertina con un foulard nero sul dolore altero. Quasi affiancata Caterina piangeva sconsolata. Poi il vento di mare, caduto. Poi il sindaco e gli amici, ricordando. Quindi il geometra Alfredo Gramigna, il capomastro e i dipendenti della ditta. Poi i contadini dei pescheti. E gli altri. Qualcuna si asciugava col fazzoletto il cordoglio. Ultimi i ragazzi delle scuole, con la maestra Lucia che cancellava lacrime furtive.

A vederlo da lontano l’accompagnamento procedeva adagio, e i pensieri dispiaciuti di tutti camminavano, vestiti a lutto, sopra le teste, in un secondo corteo alto.

In colonna così, a due piani, giunsero al piazzale davanti al cimitero, piccolo, in mezzo a colli coltivati quell’anno a orzo.

Addio.

Alessandro Corallo fu sepolto nel loculo sotto quello col cappello del padre, nella tomba di famiglia.

Al tramonto Giovanni, col morale inumato, sbarrò il camposanto e, avviandosi al motocarro, notò Polpetta rannicchiato a guardare l’ingresso. Lo chiamò, gli passò una mano sul muso: “Vieni con me!”

Il cane non si mosse, lamentosamente. Dopo il terzo inutile invito Giovanni rinunciò, perché aveva capito.