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Falbo durante le indagini fu informato di una schermaglia avvenuta anni prima nel bar di Biamonte e si persuase che la sua ipotesi poteva essere corretta.
Aveva saputo che un pomeriggio Corallo era passato per un caffè. In ozio intorno ad un tavolo c’erano Filippo Spataro e Vincenzo Murra che ridacchiavano spocchiosi e quando lo videro cominciarono battute allusive, sguaiatamente. Alessandro rimase insensibile, ma i due intestarditi gli si erano accostati al banco, fingendo di parlare tra loro: “Qui c’è qualcuno che ancora vivacchia di rendita sulla memoria del padre. Ma l’esenzione … fiscale è scaduta!”
“Sì, è ora che paghi.”
“Vero Corallo?” azzardò Filippo Spataro, secco di malignità.
Si ritrovò strapazzato nella camicia e ammonito con rabbia: “Non ci provare mai più!”
Il malavitoso rimase sorpreso dalla reazione e ancor di più dalla frase successiva: “E’ fatalità che qui a Semelia, sulla collina, le cose si debbano ripetere, secondo un ciclo ricorrente.”
Alessandro si era calmato pure lui con la sua riflessione e se ne andò. Con la speranza di sbagliarsi.
Il maresciallo convocò Spataro e gli rivolse domande sull’omicidio, senza risultato. Il malvivente si riteneva estraneo a quella faccenda. Quando gli somministrò quell’episodio del bar, rispose che lui e Murra volevano sfottere per baldoria. Difatti non c’era stato uno strascico.
Al carabiniere ronzava nelle orecchie l’ultima affermazione del furfante: “Maresciallo, lo giuro, in questa storia io e i miei amici siamo assolutamente all’estero!”