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Caterina Russo fino a sedici anni era vissuta placida in un ambito domestico semplice e povero. La casetta era al pianoterra, incastonata nella parte vecchia di Semelia, e ogni autunno la intonacavano con la calce.
I genitori possedevano pure a cinquecento metri, oltre il piccolo burrone, un brandello di montagnola con alcune piante di ulivi, un pollaio, un porcile assicurato con un catenaccio dove ingrassavano un maiale, quando non glielo rubavano, per le provviste invernali. Una baracca prevalentemente di tavole, con un lucchetto, per conservare la crusca, qualche attrezzo.
Il padre non aveva un lavoro fisso, andava a giornata come bracciante o trattorista. La madre si faceva le stagioni della raccolta della frutta.
Caterina aveva la nonna paterna e un fratello maggiore. Non conosceva il superfluo, ma maturava sana e genuina, serbando i buoni sentimenti della gente sobria e disadorna di agi. Aveva anche conseguito il diploma di terza media e aveva già fatto un’estate alle pesche.
Il fratello era emigrato in Svizzera e l’incombenza spettava a lei. Al tramonto con il secchio degli avanzi imboccò il viottolo verso gli animali. Entrò nella capannina e mentre spargeva il pugno di farina nel beverone si ritrovò alla giugulare l’affilato falcetto dell’erba, premuto da un giovane che lei conosceva bene.
“Se strilli ti scanno!” e la schiacciò su un sacco coricato di favette.
Nessuno sentì i gemiti soffocati di Caterina, il suo pianto. Solo il maiale nel recinto accanto.
Lo stupratore si dileguò dopo una convincente raccomandazione a non parlare.
Caterina rimase seduta sul sacco alcuni minuti, con gli occhi spalancati sulla brodaglia del recipiente. Come sul mondo degli adulti. Poi si riordinò, con un legnetto rimescolò l’intruglio e lo versò sulla tegola che lo faceva scorrere nel trogolo. Lanciò il granturco ai polli e si avviò di ritorno, col secchio unto e vuoto. Come la mente. Come il cuore.
Durante la cena non si accorsero di nulla, lei rosicchiò appena una crosta di pane. Ma la nonna quando rimasero sole davanti al camino, la attirò a sé in modo da tenersela con la testa sul grembo. E senza chiederle niente, le accarezzò a lungo la fronte. Dandole amore, ancora un po’ d’infanzia.
Quando anche la nonna si ritirò, Caterina rimase al focolare ormai spento. In esso continuava ad ardere, come un ceppo, il suo tormento.