Ruggero Corallo fu agganciato da Angelo Fotino al cancello del suo parco, della sera.

“Salutiamo. Io porto solo il messaggio.”

Lui sapeva chi era e si affrettò: “Quale?”

“Il capo ti manda a dire che devi pagare, non è giusto che tu sia esentato!”

“Pagare?”

“Hai capito benissimo.”

A Ruggero le collere gli avevano già intasato le vene del collo e salendo gli si erano accalcate sotto il cappello. “Digli di chiedermelo di persona.” Poi trattenendosi gli aveva sibilato: “Non farti vedere mai più davanti ai miei possedimenti, alla mia dimora!”

“Riferirò”, il mafioso per nulla impressionato. “Ma si urterà, ti avverto.”

Il mercoledì dopo Ruggero che non aveva paura di nessuno, era all’appuntamento, nell’abitazione di Fotino. Caliginosa e buia d’odori foschi, col sole chiuso fuori, come un curioso.

“Fermati qui” spianando le pistole, Fotino e Domenico Spataro.

Inquadrò subito la sagoma dietro la tenda.

“Salutiamo”, quello velato con un timbro contraffatto.

“Salutiamo. Cosa volete da me?” cosciente della sua sopportazione limitata.

“Dicono che hai trovato una pentola piena di soldi d’oro. Noi ne vogliamo un quarto. Se poi non è vero, accettiamo il corrispondente in lire.”

Ruggero fece uno sforzo indicibile per controllarsi e cercò di indovinare a chi apparteneva quella voce, doveva averla ascoltata, gli era nota in qualche modo, ed era sul punto di riconoscerla. “Quanto sarebbe?”

“Salutiamo!”

Alzandosi dalla sedia era ancora lì per lì per individuarla. Ma sull’uscio proruppe nitida la sua: “Non vedrai un centesimo da me!”

All’esterno lo rimorchiò il sole, con l’aria di chi non ha pagato neanche esso. Fino a casa.

Aveva subito sollevato in braccio Alessandro, che con una esultanza precipitosa non smetteva di gridare: “Papà, papà!” E Chiara era piombata scivolando sul corrimano e se li era stretti tutt’e due.

In quel momento Ruggero si sentì un leone.

Anche il sole, fuori.