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I venti passavano, passavano selvaggi di distanza e disperati di mistero.
Semelia e la sua zona erano da sempre una pista obbligata delle carovane ventose, quasi ogni giorno ne transitava una. Chiara ci convisse, naturalmente, erano così abituali che sembravano stanziali.
Invece i venti passavano, passavano soffiando furiosi l’ansia delle destinazioni. I facchini dei cieli generali spingevano le nubi secondo le ordinazioni, la pianificazione. I marinari veleggiavano a flotte la riviera ionica, molti alzavano sabbia perché si spostavano turbinando. Quelli di turno all’ambiente spargevano pollini e sementi, strappavano foglie snervate e frutti verminosi, petali piagati. I panoramici rimontavano l’aria alta, i più vecchi o stanchi ogni tanto perdevano quota e sbattevano contro alberi o spigoli di case, e rubavano i panni stesi, per alleviare le parti contuse. Qualcuno indisposto si staccava e smarrito si aggirava qualche ora tra la vegetazione o nei vicoli, fino a sfiatarsi. Quelli più screanzati fischiavano dalle finestre, sollevavano le vesti.
Tutti di corsa, però, in orde violente d’ansia e di tempo.
Passavano, passavano selvaggi di distanza e disperati di mistero.