La luna aveva già appeso la sua insegna luminosa sul casale.

Falbo si accomodò sul divano di fronte ad Albertina, fredda ed ermetica come un frigo, malgrado quello sguardo cromato dal cordoglio. Per un colloquio confidenziale, per un tentativo di carpire qualche informazione in più.

“Le sono venuti in mente altri dettagli? Una parola?”

“No”, determinata.

“Dunque quell’uomo aveva il viso in una calza, quindi lei non ha notato i lineamenti …”

“Non si distinguevano.”

“Poi le ha puntato il coltello e l’ha …”

“Maresciallo, per cortesia!”

“Non voglio conoscere i particolari, ma l’ha stuprata?”

“Sì”, con gli occhi algidi, metallici.

“Che età poteva avere?”

“Non lo so.”

Il frigorifero sembrava vuoto.

“Capisco che è indelicato, ma magari si può essere fatta un’idea dell’età.”

“In quella situazione?”

“Quindi si è allontanato verso le scale, vero?”

“Giusto.”

La conversazione anche, sembrava già alla porta.

“Suo marito le ha parlato di nemici? di minacce?”

“No.”

La pendola suonò le diciannove e trenta.

“A quest’ora con lei aveva finito, vero?”

“Sì!” come una scheggia di ghiaccio.

Il maresciallo imboccò i gradini perplesso, era tutto lineare. Troppo. Con la vaga sensazione che c’era qualcosa di congelato in quel resoconto. Ma che pretendeva da quella spilungona abusata?

Intanto si avvicinò alla finestra a lato e tastò la grata, che cedeva, divelta dal muro alla base. “Voci è rimbambito!” commentò.

Gli appariva un delitto estremamente facile, senza una minima complicazione. Con un movente sessuale?

“Perché scardinare l‘inferriata, quando c’era la porta sempre aperta?” si chiese uscendo.

La luna splendeva sulla villa.