Chiara Altavilla e Ruggero Corallo tornarono dal viaggio di nozze scortati da un camion pieno di mobili antichi, di tappeti, tendaggi e stoffe, lumi e oggetti vari. Per settimane sartine e artigiani si alternarono solerti. E parlavano strabiliati delle cose meravigliose che gli sposi avevano portato. Il lampadario del salone tra le due scalinate doveva costare da solo una pentola di soldi! Quando i lavori terminarono il casino era diventata una residenza stupenda, arredata con un gusto inimitabile.

E in paese Antonino e i figli della vedova Bottaro avevano un cappotto nuovo. Gli altri la certezza di essere aiutati, nel bisogno, dalla giovane signora della collina.

Non era stata rinnovata soltanto la stanza con la porta dipinta e bloccata dall’interno, dove la gente diceva che ci dormiva la luna. Ruggero strappò alla moglie la promessa che mai e in nessun caso avrebbe aperto quella camera.

E Chiara non lo fece. Sporadicamente la mattina trovava sul filo dei panni un paio di mutandine, di pizzo e merletti pregiati, bianche. Antiche. Le raccoglieva e le riponeva in un cassetto del suo comò. Un giorno lo disse al marito e gliele mostrò.

Ruggero le riconobbe.