Il maresciallo Falbo era basso e robusto, con una certa vivacità nello sguardo. Aveva sempre più prominente il gozzo, quasi vi si sedimentassero a deperire le indagini irrisolte. Sprofondato scomposto alla sua scrivania cercò di scrutinare i fatti pertinenti all’assassinio di Alessandro Corallo, che conosceva.

Caterina Russo era in permesso quel giorno, durante l’interrogatorio sembrava un’addolorata, ma non aveva rivelato niente d’interessante. Cassata.

Neanche Giovanni il camposantiere sembrava sapere qualcosa. Depennato.

Si concentrò un attimo a confrontare le versioni dei due che avevano scoperto il corpo, ascoltati separatamente.

Il capomastro aveva riferito che il geometra all’ora di pranzo gli aveva ribadito l’incontro alle otto di sera col principale, e si erano dati appuntamento alle diciannove e quarantacinque davanti alla farmacia. Precisi e sotto la pioggia erano saliti al casale, dove erano giunti alle venti, lo ricordava perché la pendola stava ancora suonando.

A giudicare dall’orario dato da Albertina Pasetti l’omicida era andato via da trenta minuti.

Il geometra aveva confermato la successione dei fatti, minuziosamente, come ricopiati su carta millimetrata, ma aveva suggerito una pista perseguibile. Aveva testimoniato che Corallo era in procinto di liquidare la ditta sia per la mancanza di appalti sia per le pressioni della malavita che tentava di imporgli una tangente.

I delinquenti sono l’unico indirizzo, si confortò il maresciallo. Forse lui non intendeva pagare e loro volevano impartirgli una lezione, degenerata nel delitto.