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Alessandro si era inoltrato nel buio sotto la pioggia torrenziale. Un lampo rischiarò il suo parco, lui avvistò la fontana e vi si diresse con un vago sapore di baccalà in bocca.
Teneva premuto sullo squarcio il braccio come cura, perché si perdeva sempre più roba, sempre più caramella. “Ciao amore mio. Io non voglio lasciarti, Lucrezia, non voglio. Ma non posso restare di più.”
I tuoni rombavano furiosi, uno gli sembrò scappato dalla porta spalancata della stanza proibita.
…C’era solo un antico letto di ferro battuto, senza materasso, la rete era ricoperta da un drappo rosso porpora. Sopra quel tessuto c’era una grande luna di terracotta, larga circa un metro, con le punte rivolte verso il basso e al centro la scritta a rilievo “TANIT”…
In quel momento Alessandro inciampò, cadde riverso sui papiri, su un profumo di mare.
L’ultima cosa che sentì fu un dolce tepore tra le dita nell’acqua.
Una mano di bimba lo avrebbe accompagnato nel viaggio.