Il cielo era occupato in un traffico caotico di nuvole nomadi, in una confusione da trasloco.

L’uomo col cappello, dopo aver controllato il recinto della collina, vagava sull’argine del torrente, buttando i suoi pensieri sui cespugli. Il suo sguardo scuro passava sulla vegetazione e le pietre come un’ombra.

Aggirando una macchia, lo incontrò all’improvviso. Don Carmine Quaresima, col fucile a spalla, era a caccia di anatre selvatiche. Il sovrapposto sembrava trasmettergli tranquillità, ammesso che n’avesse bisogno, dato che era immane e corpulento come un bisonte.

“Salutiamo, don Carmine!”

“Salutiamo. Brutta giornata oggi, vero?”

L’uomo trasalì leggermente, e si mise all’inseguimento di quella voce. “Carniere vuoto, eh?” amichevole, sorvegliando l’arma e accostandosi, faccia a faccia.

“Chissà!” la risposta omertosa.

Egli colse l’allusione, ma in modo confidenziale: “Vi posso chiedere un consiglio?”

“Come no!”

Si tolse il cappello, lo appese ad uno sterpo. Condensò la questione in parole spicce.

Quaresima, con tono suadente: “Ti conviene pagare, non essere ingordo. Paga! È gente che non scherza!” ignorando l’ira che ribolliva nell’altro. E con l’aria di chi sa: “Tua moglie è una gran bella donna!”

“E allora?” raso di rabbia.

“Allora, ti potrebbero legare ad un pioppo come quello e sotto i tuoi occhi …fars …”

Il cacciatore aveva parlato quasi pregustasse, ma non aveva potuto terminare la frase e la pregustazione perché quel marito con violenza inaudita gli aveva schiantato sul mento una capocciata di ferro. Simultaneamente ad una ginocchiata sui genitali, che don Carmine si era piegato lasciando cadere la doppietta, torcendosi dal dolore.

I due si trovarono avvinghiati in una colluttazione feroce, nella quale prevalse il bisonte. Con la gola dell’altro sotto il suo potente gomito, già sicuro, volle afferrare un sasso per fracassargli il cranio, ma nel movimento gli liberò un braccio che lo colpì di nuovo tra orecchio e fronte come una mazzata. Ricominciarono a voltolarsi nell’erba, poi giù dal ciglio nel letto del torrente.

Quando finirono di rotolare l’omaccione aveva al collo un pezzo di filo spinato arrugginito e sullo stomaco quell’altro fuori di sé che lo tirava con le dita ferite.

Il sangue zampillava intorno alle spine del filo, come sorgivo.

Nel cielo le nuvole continuavano indifferenti il trasloco.

Il corpo di don Carmine Quaresima fu rinvenuto dove la corrente dello Scilo lo aveva scaricato, in un’ansa con massi vivi, in circolo, come in gran consiglio.

Camicie nere e carabinieri percorsero il paese in lungo e in alto cercando l’omicida, interrogando chiunque, ma racimolarono un fascio di nulla.

Poco dopo la guerra cessò e il caso fu dimenticato e archiviato, agli atti dell’insoluto.

Posteriormente, non si sa come, cominciò a circolare una voce sommessa che a uccidere l’ultimo podestà di Semelia era stato Ruggero Corallo.

Ma neanche Ruggero Corallo, che nessuno osò poi taglieggiare, ormai c’era più.